Band: Frozen Crown |
Album: The Fallen King |
Etichetta: Scarlet Records |
Anno: 2018 |
Componenti: |
Tracce: |
Genere: Power Metal |
Sito: http://www.scarletrecords.it/artists/frozen-crown/ |
Recensioni metal : The Fallen King dei Frozen Crown.
Giunge spontaneo domandarsi – non so se sia una domanda che mi pongo solo io – se chi fa recensioni metal, abbia mai provato a cimentarsi con uno strumento come la chitarra elettrica o la tastiera.
La domanda giunge impulsiva e spontanea anche perché,
nella critica musicale metal, vi è chi dà giudizi tranchant
e netti, che fanno supporre vi siano tanti maestri di musica, tra le fila di chi
scrive riguardo al metal stesso.
Chiunque per esperienza abbia provato a suonare uno
strumento sa, per certo, quanto sia difficile trarne qualcosa di veramente
valido e bello. Ecco rispetto a quei recensori che, come si è detto altrove,
parlano con facilità di poca originalità di una musica o direttamente di
carattere derivativo di un gruppo, mi trovo invece molto più in sintonia con i critici musicali, per esempio di Metal.it che
non vedono cloni spesso e volentieri, ma senza volontà di adulare, si rendono
conto della fatica e complessità del fare musica – in specie in ambito
prog-power-metal – e tendono a premiare chi ha del talento da
vendere.
Per scelta, in questo mio piccolo spazio di critica musicale, non esamino lavori che non mi convincano profondamente, non ne avrei tempo e possibilità, tuttavia voglio sperare che l’entusiasmo, ove se ne mostrerà alquanto, non sia scambiato per adulazione.
Oggi scrivo qualche riga su un gruppo metal giovane
d’età e freschissimo anche di formazione (appena un paio d’anni o poco più): i Frozen Crown – (Encyclopaedia Metallum).
Parto subito considerando che non bisogna farsi
impressionare dalla copertina del disco d’esordio di questo quintetto: la cover
di “The Fallen King” è alquanto bruttina, anche coloristicamente, all’esatto
contrario del disco e della musica metal che vi è contenuta, che è, invece un
caleidoscopio di note variopinte.
Ignorando per un momento la copertina del CD, mi
vengono in mente un sacco di immagini da un grande videogioco, la Saga “The
Elder Scrolls”, in particolare l’episodio di “Oblivion” nel quale si parte dalla
decadenza di una monarchia. Ma viene facile anche pensare alla serie televisiva
“Game Of Thrones” e a tutto il decadentismo riferito al mondo della letteratura
fantasy, di cui il mega romanzo di George R. R. Martin, rappresenta l’esempio
più lampante.
Ebbene sì, con questo disco siamo all’interno di un
mondo fantastico, fatto di miti di dei caduti e reami sconfinati, ma non si
parla di J R R Tolkien e dei fasti del fantasy, quanto piuttosto della decadenza
di questi miti a mondi con maggiori sfaccettature e intrighi alla George R. R.
Martin; alla “Trono di Spade”, per capirci. Vi è, inoltre, un parallelismo
fortemente metaforico con l’interiorità di ognuno di noi. Tutte le tematiche
contenute nei testi si prestano a non definire con precisione quando si tratti
di fantasy e quando, peraltro, di interiorità.
Quanto alla musica dei nostri, c’è chi tende ad
accostare le melodie ‘accattivanti’ che pure sono presenti in questo album,
all’idea che si tratti di musica ‘facile’, cioè dal facile ascolto, chi
addirittura parla con una vera e propria contraddizione in termini di “pop
metal”, per dischi simili a questo. Il metal, tuttavia, specie quello con
venature prog, non è mai ‘pop’, termine che per me assume significato di
‘volgare’; come dal latino ‘vulgus’ - il popolino a cui propinare qualcosa di
facile facile e poco impegnativo.
I dualismi di voce maschile e voce femminile dell’album
in questione e il loro bel intrecciarsi mi ricordano, da vicino, una band per
cui si è parlato, a torto a parere di chi scrive, di ‘pop’ metal; corrono alla
mente le belle armonie vocali di Elize Ryde e Jake E. Berg: gli svedesi
Amaranthe!
Dall’esordio del disco, con una raffica tremenda di
veloci colpi di batteria (tom, rullante e doppia cassa e chi più ne ha più ne
metta!) della song “Fail No More” fino al growl urlato e profondo di
“Netherstorm” che conclude con la sola voce l’album, come dice bene un ottimo
recensore di Metallized.it, il disco è una canzone ininterrotta. In
buona sostanza un non-concept album dal punto di vista tematico, che, invece, è
un perfetto concept-album dal punto di vista strumentale, anche con una chicca
unica: iniziare con un solo di batteria e finire con la sola
voce…
Molto interessante come scelta di qualità. Si tratta di
una idea che ricorda da vicino - absit iniuria verbis, mutatis mutandis ed
evitando i “de profundis” 😱 - i grandi prog-metallers Dream Theater che hanno fatto dell’incipit dei loro
dischi che “attaccano” come finisce il CD precedente, una faccenda
proverbiale!
Sul versante delle liriche, tutte in inglese, che dire:
sono di una creatività spettacolare. Scritte a quattro mani dal polistrumentista
e vocalist Federico Mondelli e dalla talentuosa cantante Giada “Jade” Etro,
colpiscono oltre che per le assonanze e per come emergono nel cantato, anche per
i contenuti evocativi e affascinanti.
Come non recensire questo album a quasi un mese dall’uscita del nuovo album 'Crowned In Frost', prevista per il 22 marzo?
I brani di questo CD, peraltro, al contrario dei Dream,
sono, tutto sommato brevi, in termini di minutaggio delle
tracce.
Con The Fallen King dei Frozen Crown ora passiamo, tuttavia, alla recensione metal track by track:
“Fail No More”,
con una rullata di batteria che sembra
il finale di uno spettacolo di fuochi d’artificio – mentre, tutt’altro, è solo
l’inizio – parte la opening track di questo formidabile esordio discografico.
Tastiere sottotraccia danno la giusta importanza alle chitarre. Il cantato
principale è di Federico Mondelli, cantante, chitarrista e tastierista, nonché
compositore di musiche e testi. Il ritorno dei Re, il desiderio di non lasciarsi
andare più al senso di sconfitta, nel testo apre a un’introspettiva ripresa
dell’autostima e dell’amor proprio, che ognuno di noi dovrebbe sentire nel sé.
Una canzone classica: dotata di strofa, bridge e ritornello. Con due assoli di
chitarra assolutamente “epic” style nel finale.
“To Infinity”,
inizio che ricorda molto da vicino gli
Amaranthe con la freschezza del loro primo album, come anche certi passaggi dei
nostrani Temperance, a pura voce, però. Qui inizia il cantato vero e proprio di
Giada (con voce duplicata e cori di Federico), potente ed intenso. Poeticissima
parola “l’infinito”: il testo, in questo caso, più che voltarsi verso fallimenti
del passato, guarda al futuro. Musicalmente, la chitarra di Federico Mondelli,
usa sempre la sua originale timbrica per regalarci avvolgenti parti
soliste.
“Kings”,
il loro singolo di grandissimo successo su
Youtube, accelera il tempo e ci porta dritti dentro la dimensione allegorica dei
miti norreni. Peraltro, ancora una volta di più, vi è la affascinante ambiguità
di tentare di capire se sia il mito più vicino alla realtà ovvero la realtà più
attigua al mito.
“I Am the Tyrant”,
pezzo da cui è estratto l’ultimo singolo. Sempre un successo su
Youtube (non c’è un video musicale che non abbia una bella idea nella
sceneggiatura, concept e scenografia di fondo). Rallenta di poco il ritmo;
tuttavia viene introdotto un cantato tipo “growl”, anzi una voce mediana tra il
“growl” e lo “scream”. Siamo di fronte a una classica cavalcata, che trae una
qualche ispirazione, a parere di chi scrive, da quella – leggermente più famosa
– delle Walchirie di Wagner. Da notare sempre l’originalità della timbrica del
leader-chitarrista, non mi stancherò mai di
rilevarlo.
“The Shieldmaiden”,
ritorna ad accelerare sul ritmo,
dopo una breve intro di synth. Il
cantato maschile risulta in uno scream bello tirato. Con un ritornello molto
coinvolgente, il brano oltre a un coro che è un vero inno, accenna a una donna
guerriera. Dà un senso di misterioso non so
che…
“Chasing Lights”,
ballatona, quant’altre mai, scritta
dalla cantante Giada Etro, ci riporta a un’atmosfera di magia con il continuare
a rincorcorrere e a rincorrersi di luci, probabilmente falene e lucciole
d’estate.
All’improvviso, quasi come un vero concept album parte
la successiva “Queen of Blades”. Che ne riprende il tema (non sto a ricordare
Metropolis Part II – Scenes From A Memory dei Dream
Theater).
“Queen of Blades”:
se non è concept finire una canzone
come ne inizia un’altra o iniziarne una come finisce un’altra… Pezzo struggente
e, tuttavia, veloce. Sicuramente il quadro più originale della
galleria.
“Across the Sea”,
è introdotta da una tastiera e subito
dopo da un passaggio di chitarra che, non so perché mi ricorda Zombie dei
Cranberries; altra song scritta dalla bravissima e grintosa cantante, veramente
poetica, anche per come è interpretata. Dovessimo fare un lessico di frequenza
(un analisi di quanto ricorrono le parole e certe parole), troveremmo il verbo
rincorrere o inseguire come veramente frequente e “ricorrente” 😏.
Questa song prevede anche dei vocalizzi piuttosto difficili per la nostra
cantante.
“Everwinter”,
già, che dire davanti all’incantesimo
della neve… Questa canzone parla da sè: anche questa un singolo e un video
musicale su Youtube, con un autentico successo. Anche con una strizzatina
d’occhio agli Iron Maiden di “Run To The Hills”, nel testo 😉…