Recensione Metal di Metropolis PT. 2: Scenes From A Memory

Recensioni metal : Metropolis PT. 2: Scenes From A Memory

Era il 25 ottobre del 1999: 15 anni esatti sono passati dall'uscita di questo capolavoro dei Dream Theater: Scenes From A Memory. Così inizio l'esperienza di questo sito col celebrare, tramite una recensione, questo disco metal.

Due Atti, nove Scene, dodici Movimenti musicali, quando si dice che la matematica ha un posto di primo piano nella musica, specie nella musica metal!



Incipit: il (capo)lavoro comincia col ticchettio di un metronomo-orologio: è “Regression”, la prima traccia. La voce scandita dell’ipnoterapeuta, il conto alla rovescia, l’induzione in stato di trance ipnotica del protagonista della nostra storia, Nicholas, che, volendo, può essere l’ascoltatore stesso, concentrato oltre che nell’ascolto dell’album, anche in una sorta di immedesimazione empatica.
Da subito, sommesse, vi sono alcune premonizioni sonore di ciò che si sentirà in seguito: una voce gospel anticipa –lievissima, quasi a sottolineare che entra nell’Inconscio – il tema della ben successiva “The Spirit Carries On” (la quale a sua volta riprenderà la melodia e le parole di Regression nel “bridge” prima del ritornello - quasi un gioco di specchi reciproci).
La chitarra acustica di Petrucci (che dal vivo userà di solito la chitarra elettrica con un effetto di riverbero acustico) parte in accompagnamento alla voce di James LaBrie con una sfumatura in entrata. La song è breve, leggeri accordi di tastiera di Jordan Rudess intervengono ad aiutare il chitarrista e a delineare un pezzo fin da subito struggente che entra nella psiche turbata del protagonista.
Overture 1928” è, come promette il titolo, una vera e propria ouverture operistica strumentale sullo stilema della musica classica. Vale a dire anticipa melodie di cui è costellato tutto l’album, oltre ad essere un vero e proprio movimento a sé stante. Un esempio è il solo di Petrucci che anticipa la melodia dei versi “Victoria's gone forever |  Only memories remain | She passed away |  She was so young” della canzone “Fatal Tragedy”.
Strange Deja-Vu”:  Subconscious strange sensation…” Vi è mai capitata quella strana sensazione di aver già fatto quella cosa che state facendo? Il terreno musicale su cui si muove questa traccia è proprio quello…  il senso di flashback è anche musicale…
Through My Words” “Attraverso le mie parole”. Il pianoforte accompagna la voce in un duetto durante questo brevissimo pezzo (anche se è forse improprio parlare di “pezzo” perché il disco è un tutt’uno, un’unica canzone). La stessa idea creativa di “Wait For Sleep” in Images And Words.
Fatal Tragedy” “Tragedia fatale” fa da contrappunto a “Through My Words” come la successiva “Beyond This Life” anche perché “Through My Words” dura 1 minuto, mentre le susseguenti sono molto lunghe in rapporto, quasi 7 minuti  e più di 11 minuti: “Fatal Tragedy”, si diceva, in cui il protagonista comincia a rendersi conto dei motivi del deja vu, è una traccia decisamente meno metal e più diluita anche se la doppia cassa di Portnoy martella potentemente nella parte più strumentale e finale, dove si intrecciano soli di chitarra e tastiere (non tanto "soli", perdonate il bisticcio di parole :-) , visto che si perde quasi contezza di dove iniziano le chitarre e finiscono le tastiere). La chiusa è brusca sulle parole dell’ipnoterapeuta che tornano nel pieno della trance: -“Ora è tempo di vedere come sei morto. Ricorda che la morte non è la fine ma solo un passaggio.”

Beyond This Life”: “di là da questa vita”. Qui c’è l’inizio della nostra storia ed è un titolone di giornale “Assassinio, giovane ragazza uccisa”. Si tratta di un movimento musicale molto lungo che narra l'omicidio di Victoria e il suicidio del presunto assassino. I cambi di tempo e di ritmo sono continui e si va dalla doppia cassa velocissima alla sospensione con pochi suoni di batteria. Poi, dove stesso prima si era rallentato, si immette di nuovo una doppia cassa martellante; “Our deeds have traveled far | what we have been is what we are” “Le nostre azioni hanno viaggiato distante | ciò che siamo stati è ciò che siamo”; su queste stupende quanto essenziali liriche si sospende la batteria (solo un leggero piatto di charleston prosegue), poi un ampio susseguirsi di assoli e non solo di tastiera e chitarra, con un ritmo che si fa sempre più incalzante. Il brano si chiude con un suggestivo arpeggio di chitarra. Tutto il disco si basa sull’idea di karma e di metempsicosi, ma questo movimento musicale è decisamente suggestivo sul tema.
Through Her Eyes”: ecco la ballad metal tra le più belle dei Dream; quegli occhi di cui si parla secondo me hanno trovato ispirazione grandemente dai begli occhi di Emma Thompson, la progatonista del film “Dead Again”, movie cui pure i nostri hanno dichiarato di essersi ispirati per l’album in questione. Nel 2008 sulla raccolta dal titolo autoironico “Greatest Hit (... & 21 Other Pretty Cool Songs)” -1 Grande Successo (… e altre 21 canzoni abbastanza carine), in cui l’allusione è al discorso che solo “Pull Me Under” è stata fatta girare dalle radio, su tale futura raccolta –dicevo- troveremo “Through Her Eyes”, in versione alternativa, corredata da un magnifico intervento e solo di sax tenore (come c’era in “Another Day” su Images And Words, soltanto che quello era un sax soprano) per la durata di più di 30 secondi in più dell’originale. L’originale inizia con una parte gospel, magnificamente interpretata da una cantante (sembra anche un richiamo indiretto e un omaggio a “The Great Gig In The Sky” dei Pink Floyd), l’accenno melodico è una ripresa del sottofondo gospel che si sente in “Regression”. Poi un accenno di chitarra elettrica e il piano di Rudess, con sotto una magnifica linea di basso di Myung. Il testo è superbo nella sua semplicità, “The door has opened wide | I’m turning with the tide” “La porta si è spalancata | Sto girando con la marea”, ma mi riservo di dedicarci una analisi a parte. Molto essenziale la chitarra acustica di Petrucci. Con un “mugghio” di LaBrie sfuma e si chiude la 5^ scena  :-D .
Fa ingresso la 6^ scena: “Home” un movimento musicale decisamente orientaleggiante e misticheggiante che parte con un effetto Wah-Wah molto tirato e grave: protagonista è The Sleeper personaggio del passato rievocato dall’ipnosi e contemporaneamente del passato dei Dream Theater (in Metropolis – part 1 da Images And Words, risultava il protagonista del testo) e poi altro protagonista è The Miracle, sempre riferito al disco Images And Words.
La successiva “The Dance of Eternity” “La danza dell’eternità”è il brano strumentale che non manca mai nei grandi album dei Theater: ha tratti che ricordano i cambi di tempo del loro magnifico disco Awake. Inoltre vi è un inserto di pianoforte da cinema muto, quasi da “Ridolini” (Larry Semon, n.d.r.) o da “Buster Keaton”, molto carino, impertinente e inappropriato come solo dei veri musicisti prog sanno fare! Ripetute sono le citazioni armoniche di Metropolis Part 1, accennate fin da subito all’inizio del brano, sommessamente, sempre nel tentativo –secondo me sempre ben riuscito- di far breccia nell’inconscio dell’ascoltatore/protagonista. Grandi i pezzi di basso di John Myung che danno vita ad intrecci stupendi.
One Last Time”, “Un’ultima volta” sempre senza fermarsi mai (ricordo che l’album è una sola canzone), esordisce con una bella sfuriata di piano, per poi affrontare lo sgomento del protagonista per quello che ha appreso in “Home” e nei precedenti movimenti.
The Spirit Carries On”, “Lo spirito va avanti” è difficile per me da commentare. Ciò perché la adoro, e che si deve dire di qualcosa che si adora? Alle domande di Nicholas, che sono le domande filosofali – Da dove veniamo? Perché siamo qui? Dove andiamo quando moriamo? – segue un brano tormentato che fa una ripresa di “Regression”. Prima di questa ripresa (tecnicamente è un “bridge”, un ponte per il ritornello) c’è un assolo di Petrucci che richiama alla mente, in modo del tutto voluto/casuale, “Shine On You Crazy Diamond” dei Pink Floyd. Notevole anche il coro gospel che dà spessore al brano.
Finally free” “Finalmente libero”, è il ritorno del protagonista alla realtà, protagonista che addirittura accende la macchina e se ne va nel temporale che si sente da lontano. Oppure è solo una illusione la sua, di essere uscito dalla seduta ipnotica? Mah, intanto però si dipana il racconto di come sono veramente andate le cose nell’ultimo, lungo, movimento musicale. Un arpeggio di chitarra e accordi di tastiera inquietanti introducono il racconto finale. Dopo il racconto, c’è tanto di colluttazione e spari. Riprende il ritornello struggente di “One Last Time” e poi il ritornello di “Finally Free” stessa. Tutta la sonorità che porta alla fine è inquietante con bellissime rullate di batteria di Portnoy, inquietante come il finale stesso.
Il finale lo lascio per una analisi del testo che farò più avanti.
Molti si sono chiesti se i Dream Theater riusciranno mai a superare compositivamente la grandezza di Scenes From A Memory. Non lo so, resta il fatto che questo disco è frutto di una serie di circostanze che forse si ripeteranno in una reincarnazione futura 😁😛😁  !!!